Irreperibilità assoluta o relativa: la differenza si gioca “sul campo”
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24781/2025, torna su un tema caldo per gli operatori fiscali e legali: la validità delle notifiche in presenza di irreperibilità del contribuente e il peso probatorio dei certificati anagrafici rispetto agli accertamenti dell’ufficiale notificatore.
📌 Il caso
Un contribuente impugna l’intimazione di pagamento sostenendo che la notifica delle cartelle sia nulla: l’ufficiale avrebbe applicato la procedura di irreperibilità assoluta (art. 60, lett. e, DPR 600/1973), nonostante la residenza fosse nota da certificati anagrafici.
La Cassazione però respinge il ricorso, confermando la correttezza dell’operato dell’ufficiale.
⚖️ La posizione della Corte
Secondo i giudici:
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l’ufficiale notificatore aveva verificato sul posto che non esisteva citofono, cassetta postale o traccia del destinatario;
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il custode aveva dichiarato che il soggetto si era trasferito altrove;
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il certificato anagrafico ha solo valore presuntivo, non prevalente rispetto alla fede privilegiata dell’atto pubblico redatto dall’ufficiale.
Solo una querela di falso può mettere in discussione quanto attestato nella relata.
In tal caso, quindi, la notifica ex art. 60 lett. e) (irreperibilità assoluta) è legittima.
🔍 La distinzione decisiva
La Cassazione ribadisce che:
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irreperibilità relativa → il destinatario non è trovato temporaneamente presso la residenza nota → si applica l’art. 140 c.p.c.
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irreperibilità assoluta → è ignoto il luogo in cui notificare, o il soggetto si è trasferito senza lasciare traccia → si applica l’art. 60 lett. e) DPR 600/1973.
La differenza non è teorica: incide sulla validità dell’atto impositivo e sulla difesa del contribuente.
🧭 Effetti e implicazioni
La Corte riafferma un principio consolidato:
“La fede privilegiata dell’attestazione dell’ufficiale notificatore prevale sul certificato anagrafico.”
In altre parole, conta la realtà verificata sul campo, non la burocrazia anagrafica.
💬 Critica costruttiva
L’ordinanza è coerente con la linea giurisprudenziale più rigorosa, ma apre un nodo di fondo:
nel contesto digitale del 2025, dove le banche dati anagrafiche e le piattaforme pubbliche (ANPR, SPID, PEC, INAD) consentono verifiche immediate, ha ancora senso attribuire valore quasi assoluto all’attestazione “fisica” dell’ufficiale?
Forse è tempo che la giurisprudenza evolva verso un equilibrio più moderno:
la prova di residenza digitale e certificata dovrebbe contare quanto — se non più — dell’accertamento “visivo”.
Solo così si potrà garantire un sistema notificatorio più equo, tracciabile e realmente al passo con i tempi.
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